Papa Benedetto XVI: catechesi sulla liturgia “lingua madre” della Chiesa (I parte)

Vista la crescente difficoltà di tanti laici a comprendere la Sacra Liturgia
come fonte e culmine della vita della Chiesa, ho ritrovato in una udienza
del mercoledì di Benedetto XVI una riflessione impegnativa ma certamente
interessante e profonda. Il Papa ci ricordava che “la liturgia si celebra per
Dio, non per noi stessi”; non è il singolo – sacerdote o fedele – o il gruppo
che celebra la liturgia, ma che essa è primariamente azione di Dio attraverso
la Chiesa, che ha la sua storia, la sua ricca tradizione e la sua creatività.
In ogni celebrazione liturgica partecipa assieme tutta la Chiesa, cielo e terra,
Dio e gli uomini. Quanto più una celebrazione è animata da questa coscienza,
tanto più fruttuosamente in essa si realizza il senso autentico della
liturgia. Il Papa ricorda infine il senso cosmico ed eterno della liturgia, che
non può e non deve essere ridotta al nostro “qui e ora” o ai nostri bisogni,
ma ci apre all’universalità dei credenti in Cristo di tutti i tempi, passati, presenti
e futuri. Come afferma il catechismo della chiesa cattolica, la Liturgia
è «partecipazione alla preghiera di Cristo, rivolta al Padre nello Spirito Santo.
Nella liturgia ogni preghiera cristiana trova la sua sorgente e il suo termine»
(n. 1073). Vorrei che ci chiedessimo: nella mia vita, riservo uno spazio
sufficiente alla preghiera e, soprattutto, che posto ha nel mio rapporto
con Dio la preghiera liturgica, specie la Santa Messa, come partecipazione
alla preghiera comune del Corpo di Cristo che è la Chiesa? Nel rispondere
a questa domanda dobbiamo ricordare anzitutto che la preghiera è la relazione
vivente dei figli di Dio con il loro Padre infinitamente buono, con il
Figlio suo Gesù Cristo e con lo Spirito Santo (cfr ibid., 2565). Quindi la
vita di preghiera consiste nell’essere abitualmente alla presenza di Dio e
averne coscienza, nel vivere in relazione con Dio come si vivono i rapporti
abituali della nostra vita, quelli con i familiari più cari, con i veri amici; anzi
quella con il Signore è la relazione che dona luce a tutte le altre nostre
relazioni. Questa comunione di vita con Dio, Uno e Trino, è possibile perché
per mezzo del Battesimo siamo stati inseriti in Cristo, abbiamo iniziato
ad essere una sola cosa con Lui (cfr Rm 6,5). In effetti, solo in Cristo possiamo dialogare con Dio Padre come figli, altrimenti non è possibile, ma in
comunione col Figlio possiamo anche dire noi come ha detto Lui: «Abbà». In
comunione con Cristo possiamo conoscere Dio come Padre vero
(cfr Mt 11,27). Per questo la preghiera cristiana consiste nel guardare costantemente
e in maniera sempre nuova a Cristo, parlare con Lui, stare in silenzio
con Lui, ascoltarlo, agire e soffrire con Lui. Il cristiano riscopre la sua vera
identità in Cristo, «primogenito di ogni creatura», nel quale sussistono tutte
le cose (cfr Col 1,15ss). Nell’identificarmi con Lui, nell’essere una cosa sola
con Lui, riscopro la mia identità personale, quella di vero figlio che guarda a
Dio come a un Padre pieno di amore. Ma non dimentichiamo: Cristo lo scopriamo,
lo conosciamo come Persona vivente, nella Chiesa. Essa è il «suo
Corpo». Tale corporeità può essere compresa a partire dalle parole bibliche
sull’uomo e sulla donna: i due saranno una carne sola
(cfr Gn 2,24; Ef 5,30ss.; 1 Cor 6,16s). Il legame inscindibile tra Cristo e la
Chiesa, attraverso la forza unificante dell’amore, non annulla il «tu» e l’«io»,
bensì li innalza alla loro unità più profonda. Trovare la propria identità in
Cristo significa giungere a una comunione con Lui, che non mi annulla, ma
mi eleva alla dignità più alta, quella di figlio di Dio in Cristo: «la storia
d’amore tra Dio e l’uomo consiste appunto nel fatto che questa comunione di
volontà cresce in comunione di pensiero e di sentimento e, così, il nostro volere
e la volontà di Dio coincidono sempre di più» (Enc. Deus caritas est,
17). Pregare significa elevarsi all’altezza di Dio, mediante una necessaria
graduale trasformazione del nostro essere. Così, partecipando alla liturgia,
facciamo nostra la lingua della madre Chiesa, apprendiamo a parlare in essa
e per essa. Naturalmente, come ho già detto, questo avviene in modo graduale,
poco a poco. Devo immergermi progressivamente nelle parole della Chiesa,
con la mia preghiera, con la mia vita, con la mia sofferenza, con la mia
gioia, con il mio pensiero. E’ un cammino che ci trasforma.

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